“Andiamo a quel paese” con Ficarra & Picone, duo comico tutto siciliano

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Ricci crespi e scombinati, pelle turca, bruciata, l’aria da siciliano che ha dimenticato a casa coppola e lupara, con due occhi spiritati, pungenti come spilli. Il compare invece è bianco latte, sorpreso e svagato, sorrisetto candido ed ironico appiccicato come un francobollo su labbra sottili. Entrambi in maglietta comperata al supermercato e jeans d’annata, larghi e cadenti a ricoprire gambette gracili, fisici nodosi. “Che emozione, se immagino che al posto mio c’era seduto De Niro…” “Pensa il decadimento!”. I due tizi appena entrati in sala e accolti da un’ovazione senza precedenti non sono quello che sembrano, cioè due sfaccendati photobomber inseguiti dalla sicurezza, ma tra i comici più amati d’Italia, il duo Ficarra e Picone, il buono e il cattivo. “E chi sarebbe il cattivo?” chiede Ficarra provocatorio. “Tu!” gli risponde una voce. Lui la cerca tra le facce divertite del pubblico e infine l’adocchia con una smorfia sgamata: “Sei parente!” sentenzia.

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Salvatore Ficarra e Valentino Picone sono due palermitani doc (Picone ha più l’aria da padano, ma è solo la pelle chiara a trarci in inganno!). Conosciutisi proprio in un villaggio turistico di Taormina, nel ‘93, dove Ficarra lavorava come animatore e Picone cercava furbescamente di risparmiare sul prezzo, spacciandosi per il figlio d’un lavoratore dei cantieri navali!

Nasce così il sodalizio artistico, che coinvolge anche un terzo uomo, che poi lascia: “… e siamo rimasti in un due” conclude Picone con un sospiro. “Io ho già pronto il monologo!” esclama Ficarra, gli occhi sporgenti spalancati come bocche di pesce sul bancone.

Inizialmente s’esibivano col nome del trio originale Chiamata Urbana Urgente, dal ’98 sono Ficarra e Picone. Punte di diamante del programma d’intrattenimento Zelig, con gli azzeccatissimi “Nati stanchi”, prototipo del siciliano svogliato, e i “Fratelli corner”, parodia dei calciatori dell’Inter e della Nazionale (loro il celeberrimo: “Stanco?” “No, oggi no”), i due comici hanno avuto un tale successo di pubblico che è possibile trovarli, oggi, alla conduzione di Striscia la Notizia, e protagonisti del grande schermo, con film irriverenti quali La matassa o Il sette e l’otto, dove curano ogni fase, dalla sceneggiatura alla regia. “Siamo aiutati ovviamente, da soli non combineremmo nulla!” ridacchiano. “L’idea nasce sempre da una notizia che ci viene all’orecchio o che leggiamo sul giornale. Ci piace raccontare storie, storie siciliane, perché sono le nostre in fondo, le uniche che conosciamo”. I palazzi del sacco edilizio, la Kalsa di Palermo, poi il nero di Catania in pietra lavica unito al biancheggiare dei marmi palermitani: un colpo d’occhio, perfetto per fare da sfondo a storie rocambolesche ed ironiche come le loro, mescolanza curiosa che forma il sostrato della sicilianità di cui i due si sentono portavoce, giullari laici e depoliticizzati: “Noi non vorremmo mai parlare di politica, poi però è la politica che diventa comica e ci ruba il mestiere!”.

Diretti persino dalla mano di Tornatore in Baaria, i due non rimpiangono nulla delle prime apparizioni in tv ed evitano qualunque mania da divo hollywoodiano: “I comunisti della domenica – che interpretavano ne “L’Ottavo nano” di Guzzanti- li amavamo, gran bei personaggi!” dichiarano.

Effettivamente Ficarra e Picone sono quanto più lontano dal “divo” possa esistere! Tralasciando i vestiti, persino il loro rapporto con i soldi è bizzarro, nella sua assoluta somiglianza con quello che ne avrebbe chiunque altro. “Ero al casello in autostrada…” s’inerpica Picone in un racconto a ritmo lento d’un episodio banale, tanto che Ficarra lo squadra da capo a piedi, e con l’aria mista tra l’infuriato e il disperato ringhia sordo, voltandosi: “E’ bello perché è avvincente!”.

E’ tutta scena in fondo, i due non smettono mai di recitare, ma recitano così bene che è un piacere starli a guardare. Picone continua, emozionato come un bimbo dal proprio parlare: “… e quindi, niente, non avevo un soldo. Vedo l’euro per terra. Un camion sta arrivando, devo sbrigarmi. Scendo di sguincio e faccio per prenderlo”. Sfotte Ficarra: “Di sguincio! L’ha usato lui ora e Torquato Tasso!”. Si ride e si prosegue: “ “Picone!”. E’ il camionista che mi chiama. “Che fai? Ti rubi i soldi? Quelli sono caduti al camionista di prima.. Certo che.. tutti ladri siete!” Pensate, che figura di m…”. Il pubblico si sbellica, anche Ficarra si scosta quella maschera da automobilista incazzato e finalmente sorride.

L’incontro prosegue e non appena Picone parla -l’occhio perso, il sorriso ingenuo, la faccia in una posa di memorabile stupore-, ti viene da ridere, anche quando magari dice una cosa seria. “Vuoi aspettarmi in macchina?” sbotta Ficarra infastidito, e le risate arrivano al cielo. La facilità ad interagire col pubblico e gli ingegnosi e perfettamente coordinati tempi comici, li rendono insuperabili quando sono insieme. Difficile immaginarli altrimenti.

Cosa vi unisce e cosa vi separa?” “Ci unisce il contratto…” Ficarra, sferzante “e ci separano…” continua lasciando la frase in aria. “I caselli!” salta su Picone, ripensando alla storiella precedente. “Quanta chimica fra di voi!” si congratula Sesti in lacrime: sta morendo dal ridere e la voce gli esci fuori a singhiozzo. “Non è chimica è proprio stupido”. Ficarra fulmina Picone che si è appena fatto prestare uno sgargiante ventaglio color rubino da una signora del pubblico e si sventola come fosse una gran dama, o meglio una geisha, alla corte dell’Imperatore. Scuote la testa. “Che caldo, che possiamo fare?” s’informa intanto Picone con spirito sociale, senza mai smettere il movimento regolare del polso, avanti e indietro. Ficarra guarda il pubblico, annoiato. Depresso dal comportamento dell’amico, bofonchia: “Andiamo al mare…”.

Nel mentre un tizio continua a fotografare a ripetizione con tanto di flash da rimanerci accecati: un faro abbagliante in faccia al povero Ficarra, che sbotta: “E falla una foto!!… Mi pare l’autovelox, avrà più foto lui di mia madre! E zooma, zooma!… Che zoomi? Mi hai già scannerizzato i peli del naso, quelli sono!”. Intanto il pubblico si sbraccia per fare ognuno la sua domanda: braccia corpose e braccine esili tese al cielo contemporaneamente, s’allungano quasi a toccarlo: “Grazie per il vostro lavoro… ” “Grazie a lei che lo chiama lavoro!”; “E’ già lunga la domanda per me, io a scuola sceglievo tema libero”; “Tornerete a fare uno stage sulla commedia?” “Mah… si, se capisco cosa vuol dire stage”. Sesti, giornalista, coordina gli interventi, segnalando chi vuol parlare e necessita di microfono, come farebbe un marinaio esperto per indicare la rotta al timoniere: “A ore undici!” grida energico ed eccitato. Ficarra lo squadra serio: “E perché metti il dito all’una?” sibila.

Accennano anche al loro nuovo prodotto cinematografico: “Andiamo a quel paese”. Sarà un film serissimo, tragico, come si preannuncia dal titolo..! “Ci mettiamo anni a fare un film perché non vogliamo rigirare la frittata”. “Praticamente” spiega Ficarra “è il superamento del popolo del Vaffa: il popolo dell’Autovaffa!”. Ficarra, che da giovane ammette di aver avuto i capelli lanosi da afro americano, un cespuglio nero e rigonfio, quasi un segno distintivo: “Oh, eccolo! Come lui” esclama, sorridendo a un ragazzo del pubblico, quindici anni circa, maglietta che inneggia al rock puro anni 70 ed il sorriso storto, l’aria apatica tagliata da due sopracciglia corrugate ad arco in un cipiglio strafottente. C’è un cenno d’intesa fra i due, la sala applaude. “A me il comico cattivo col collega piace proprio!” ammette alle ultime Ficarra “Sai quante volte ho scritto una scena con una frusta e lui me l’ha tagliata!”. “Ora fateci andare” esorta Picone “che Ficarra ha l’aereo per il Brasile!”. E’ una parola: al pubblico scatenato non gliene frega niente che alle sei l’Italia giochi, e anche il duo è costretto a piegarsi alla volontà del popolo sovrano.

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